La ricerca sui Disturbi Alimentari (DA) vede una complessiva ripresa negli ultimi due decenni rispetto ai precedenti. I casi sono in aumento in tutto il mondo e l’impatto negativo di queste complesse psicopatologie – incluse le forme sotto soglia – è sempre meno trascurabile.
Il tempo che trascorre dal manifestarsi di sintomi alla richiesta di aiuto si conta in anni, quando avviene, ed è inversamente correlato agli esiti.
Tra le molteplici cause ci sono:
- resistenze individuali come scarsa consapevolezza della malattia, vergogna, pensare di farcela da soli, auto stigma e stigma percepito;
- carenze in ambito sanitario: insufficienti conoscenze della materia, screening e riferimento alle cure da parte di medici generali e specialisti dell’ambito medico e psicologico;
- scarso monitoraggio della popolazione generale in ambiti come scuola, famiglia e ambiente sportivo.
In particolare, la scarsa alfabetizzazione della popolazione generale sui DA mantiene trasversalmente ignoranza, pregiudizi ed esitazione, portando alla non emersione dei casi.
È inoltre molto importante considerare che interventi di prevenzione e di screening non possono decollare senza uno sforzo migliorativo nel trattamento di queste patologie.
Sarebbero pertanto necessari sforzi di perfezionamento e diffusione di protocolli di cura efficaci, sforzi di tipo strutturale (incremento e distribuzione territoriale di professionisti competenti e strutture specializzate) e politico-finanziario.
Anche per queste ragioni, la prevenzione primaria dei DA è quanto mai essenziale per arrestare l’aumento dei casi nel prossimo futuro.
I programmi basati sulla teoria della dissonanza cognitiva come il Body Project di Eric Stice, confermano la loro efficacia tra la popolazione vulnerabile, anche quando implementati da pari, adeguatamente formati e supervisionati.
La diffusione massiccia di questi programmi sarebbe quindi benefica e potrebbe essere proposta a partire 11 anni.
Infatti, l’immagine corporea si plasma fin dalla tenera età e rispecchia una più ampia valutazione di sé.
Molti fattori contribuiscono a generare e perpetuare insoddisfazione corporea:
- difficoltà psicosociali tra cui timidezza, solitudine, body-teasing;
- esperienze avverse dell’infanzia come abusi o trascuratezza;
- deficit di autostima e competenze emotive;
- perfezionismo maladattativo;
- vulnerabilità familiare non trattata.
Il dover adeguarsi a norme sociali e l’esposizione costante all’ideale di magrezza perpetuato da mass-media e social media contribuiscono ad alimentare il senso di inadeguatezza.
Programmi di prevenzione innovativi che si rivolgono a questi fattori di rischio stanno emergendo in letteratura (riguardo ad esempio alfabetizzazione mediatica, autostima, connessioni sociali) ma necessitano ulteriori studi di efficacia e tempi di monitoraggio più lunghi.
Non rallentiamo, quindi, ed iniziamo a diffondere le conoscenze acquisite!
Dr.ssa Arianna Casiraghi
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