Con il termine malnutrizione, intendiamo una ampia varietà di alterazioni nutrizionali, per eccesso o per difetto, che includono obesità ma anche denutrizione o deficit di soli singoli nutrienti. Più frequentemente utilizziamo questo vocabolo per indicare una sotto-nutrizione, sia nel bimbo, che nell’adulto che ancora nell’anziano, e in particolar modo riferendoci alla quota proteica. Tale malnutrizione si associa sovente, e ancor più nella fascia d’età geriatrica ciò è evidente, con un peggioramento della qualità di vita, un incremento del tasso di ospedalizzazione e ancora della mortalità per tutte le cause.
Perché la malnutrizione proteica colpisce più spesso gli anziani? Per un insieme di cause che includono le patologie associate all’invecchiamento che limitano l’accesso all’alimentazione equilibrata (o la impediscono addirittura), la condizione parafisiologica stessa dell’invecchiamento che comporta riduzione dell’assorbimento dei nutrienti e maggiori difficoltà nella preparazione autonoma dei pasti, ma anche aspetti sociali come la solitudine o ancora economici come la perdita della autonomia in seguito alla cessazione dell’attività lavorativa. Tutto ciò determina, da una parte, un aumento del rischio di incorrere in fenomeni di malnutrizione e, dall’altra, a una maggiore difficoltà a ricevere le cure più adatte.
Questo fenomeno è così di interesse globale da essere stato oggetto di studi clinici approfonditi che hanno portato, tra le altre cose, alla definizione del termine DoMap, per indicare nei sopra citati i determinanti della malnutrizione nella popolazione geriatrica.
E una volta identificato un soggetto anziano affetto verosimilmente da malnutrizione proteica? A questo punto, è necessario confermare tale intuizione mediante assessment dello status nutrizionale mediante l’impiego delle apposite scale (ciascun contesto ha la propria, da quello ospedaliero al domestico passando per la casa di riposo o i centri diurni sino all’ambiente intensivistico).
Solo allora si procede con lo studio delle misure terapeutiche più idonee alla diade soggetto-ambiente, tenendo sempre conto che il futuro guarda alla personalizzazione delle cure, pertanto andiamo incontro ad approcci meno dogmatici e universali ma più pragmatici e calibrati sul singolo. Tali misure includono la supervisione nella creazione dei pasti da parte del soggetto o la loro preparazione da parte di soggetti terzi, il passaggio da una nutrizione per via orale alla forma enterale o parenterale – endovenosa, alla supplementazione mediante il ricorso a integratori, alla somministrazione di veri e propri farmaci.
Non va mai trascurata l’idratazione del soggetto, considerando l’acqua come un vero e proprio alimento e ricordandosi che con l’invecchiamento aumenta esponenzialmente il rischio di disidratazione anche per parafisiologica riduzione del senso sete!
Una volta avviato l’iter delle cure mirate, esse vanno monitorate nel tempo, con un interesse a registrare ciascun caso al fine di raccogliere il maggior numero di indicazioni possibili di un fenomeno nosologico molto diffuso, in crescente aumento ma ancora decisamente poco riconosciuto e diagnosticato.
Dr.ssa Valentina Fagotto