I benefici della vitamina D nel promuovere la salute delle ossa sono noti. A questi se ne aggiungono altri, specie riguardo alla sua potenziale azione di ridurre il rischio di sviluppare il Diabete Mellito di Tipo 2. In effetti, un nuovo studio condotto in Brasile suggerisce che la vitamina D può anche promuovere una maggiore sensibilità all’insulina. In questo modo, essa sembrerebbe essere in grado di abbassare i livelli di glucosio e, di conseguenza, il rischio di sviluppare il Diabete Mellito di tipo 2. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati su Menopause, la rivista della North American Menopause Society (NAMS).
Altri recenti studi hanno dimostrato una chiara relazione tra vitamina D e controllo glicemico, suggerendo che la vitamina D aumenta la sensibilità all’insulina e migliora la funzione delle cellule beta pancreatiche. In questo studio trasversale, che ha coinvolto 680 donne brasiliane di età compresa tra 35 e 74 anni, l’obiettivo era valutare la possibile associazione tra carenza di vitamina D e aumento della glicemia.
Delle donne intervistate, 24 (3,5%) hanno riferito di aver usato integratori di vitamina D. La supplementazione di vitamina D è risultata essere negativamente associata a livelli elevati di glicemia. Anche l’esposizione abituale al sole ha fornito la stessa associazione, dimostrando che le carenze di vitamina D sono associate a livelli elevati di glucosio nel sangue.
I risultati dello studio appaiono nell’articolo “I livelli sierici più elevati di vitamina D sono associati a livelli più bassi di glucosio nel sangue.”
Sebbene non sia stata dimostrata una relazione causale, e nonostante nel passato recente Gulseth e coll. (2017) avessero escluso questa relazione, in questa sperimentazione i ricercatori sembrerebbero essere riusciti a dimostrare che bassi livelli di vitamina D possano giocare un ruolo significativo nel diabete mellito di tipo 2.
Di conseguenza, la supplementazione di vitamina D sembrerebbe essere in grado di aiutare a migliorare il controllo glicemico anche se, per confermare ciò, sono necessari ulteriori studi.
Per maggiori informazioni:
www.sciencedaily.com/releases/2019/01/190130075731.htm
Link al lavoro di Gulseth e coll. 2017
www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28468770
Giacomo Pagliaro