Come evidenzia il rapporto della Lancet Commission del 2019, il mondo è oggi testimone di una “sinergia di pandemie”, ovvero di una “sindemia” globale di malnutrizione, sovrappeso e cambiamento climatico, fenomeni complessi e multicausali che si retroalimentano a vicenda. Queste pandemie rappresentano tre delle minacce più gravi alla salute e alla sopravvivenza umana oggi, creando sfide crescenti per la salute pubblica globale ed essendo ormai un oggetto comune dell’agenda politica globale e una preoccupazione sociale ampiamente diffusa.
Fino ad ora, quando parliamo di cambiamento climatico e dei nostri approcci di adattamento a esso, ci concentriamo ancora poco sull’impatto indiretto che avrà in ambiti apparentemente poco connessi, quali per esempio l’economia globale. Prendendo ad esempio le conseguenze sulla salute, l’impatto dei cambiamenti climatici sulla comparsa e ricomparsa di malattie infettive, focolai ed epidemie è già evidente, così come è evidente l’importanza di considerare la “sicurezza sanitaria” come un valido approccio di adattamento. Tuttavia, il cambiamento climatico avrà anche un enorme impatto economico sui costi dei servizi sanitari e quindi sulla sostenibilità dei sistemi sanitari, sulle spese vive, sulla mancanza di capacità di sostenere gli investimenti pubblici e, infine, sulla copertura sanitaria universale.
Le proiezioni globali dei danni macroeconomici dei cambiamenti climatici generalmente considerano gli impatti delle temperature medie annuali e nazionali su orizzonti temporali a lungo termine. Qui utilizziamo recenti scoperte empiriche provenienti da più di 1.600 regioni in tutto il mondo negli ultimi 40 anni per proiettare i danni subnazionali causati dalla temperatura e dalle precipitazioni, inclusa la variabilità giornaliera e gli estremi.
Un nuovo studio pubblicato su Nature valuta l’entità dei danni economici causati nel breve periodo e causati dal cambiamento climatico verso cui il mondo è già avviato, evitando così proiezioni a lungo termine. I danni economici stimati sono stati misurati come variazioni percentuali del reddito pro capite rispetto a uno scenario di riferimento senza impatti climatici. È stato stimato l’impatto della somma di tutte le variabili climatiche e anche l’impatto del cambiamento climatico è stato stimato separatamente sotto forma di aumento della temperatura media annuale, variabilità della temperatura giornaliera, precipitazioni annuali totali, numero annuo di giorni umidi (>1 mm ) e precipitazioni giornaliere estreme.
Lo studio mostra che nei prossimi 26 anni subiremo una riduzione media del reddito del 19% a causa del cambiamento climatico, e che questa perdita di reddito sarà sei volte superiore al costo economico della mitigazione necessaria per limitare il riscaldamento globale a “soli” 2ºC in questo breve periodo. E quel 19% è, ovviamente, una stima media. Nel Sahel, ad esempio, la riduzione del reddito pro capite dovrebbe raggiungere il 30%.
I danni commessi derivano prevalentemente dalle variazioni della temperatura media, ma tenere conto delle altre componenti climatiche alza le stime di circa il 50% e porta ad una maggiore eterogeneità regionale. Le perdite sono stimate per tutte le regioni tranne quelle a latitudini molto elevate, dove la riduzione della variabilità della temperatura apporta benefici. Le perdite maggiori sono stimate alle latitudini più basse, nelle regioni con minori emissioni storiche accumulate e un reddito corrente inferiore.
Le nostre abitudini alimentari (tra cui produzione, acquisto, consumo e sprechi) dei principali paesi inquinanti (tonnellate di emissioni di CO2 pro capite) contribuiscono notevolmente al riscaldamento globale, un fenomeno che rischia di causare gravi danni al pianeta. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) avverte che lo spreco alimentare da solo causa tra l’8% e il 10% dei gas serra e ci esorta a cambiare la nostra dieta per invertire questa situazione. Ciò implica anche la necessaria contestualizzazione e adattamento dei messaggi a seconda della situazione, poiché ovviamente non tutti i paesi hanno la stessa responsabilità per il cambiamento climatico sul nostro pianeta e non tutti ne subiscono allo stesso modo le conseguenze (ingiustizia climatica).
Questo tipo di studi rende ancora piú evidente la necessità di progettare interventi che affrontino scenari così complessi con un approccio ecologico e intersettoriale, che tenga in conto il ruolo dell’intersezione tra cibo, nutrizione, salute e ambiente.
Sara Tulipani
Riferimento bibliografico
Kotz, M., Levermann, A. & Wenz, L. The economic commitment of climate change. Nature 628, 551–557 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-024-07219-0