La vitamina D è collegata a un basso tasso di mortalità virale, secondo uno studio

Un nuovo studio consolida la relazione tra carenza di Vitamina D e rischio di morte per conseguenze da infezione COVID-19. Questa nuova sperimentazione è stata realizzata dal Dott. Lee Smith della Anglia Ruskin University (ARU) e Petre Cristian Ilie del Lynn NHS Foundation Trust del Queen Elizabeth Hospital. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Aging Clinical and Experimental Research.

Precedenti studi avevano già segnalato una relazione tra carenza di vitamina D e maggior suscettibilità alle infezioni acute del tratto respiratorio. In effetti, la vitamina D modula la risposta delle cellule immunitarie. Essa impedisce loro di rilasciare troppe citochine pro-infiammatorie. Allo stesso tempo, molti studi hanno dimostrato che il virus COVID-19 sia in grado di scatenare una vera e propria “tempesta di citochine pro-infiammatorie”.
Come purtroppo ben sappiamo, l’Italia e la Spagna hanno entrambi registrato alti tassi di mortalità COVID-19. A tale riguardo, questo nuovo studio mostra che esiste anche un’ulteriore inquietante similitudine in questi paesi. in effetti essi presentano i livelli medi di vitamina D più bassi rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Europa settentrionale. Le cause di ciò sono probabilmente da ricercare nel fatto che le persone nell’Europa meridionale, in particolare gli anziani, tendano ad evitare il sole forte.

Ma ciò non è sufficiente a giustificare il tutto. Altri fattori si aggiungono. Il primo è la particolare struttura della pelle (la pigmentazione vera e propria). Ciò che è risaputo da decenni, è che le popolazioni equatoriali hanno una minor capacità di sfruttare l’esposizione solare per produrre Vitamina D rispetto alle popolazioni nordiche. Questa è probabilmente una differenza determinata da adattamenti evoluzionistici causati dalla diversa durata ed intensità di esposizione solare. I nordici, avendo meno ore di luce solare (e meno forte), hanno sviluppato una capacità di sintesi della vitamina D nettamente superiore a quella delle popolazioni equatoriali.

Nel passato molte sono state le segnalazioni di anomalie nella crescita o vero e proprio rachitismo nei figli di emigrati africani in Europa a causa della loro bassa capacità di sfruttamento dell’esposizione solare. A tutto ciò si aggiunge che la dieta delle popolazioni italiane e spagnole è spesso povera di Vitamina D. Al contrario, nel Nord Europa l’alto consumo di olio di fegato di merluzzo e il ricorso a supplementi di vitamina D rendono le carenze di questa molecola poco comuni.

Comunque sia, sta di fatto che le nazioni scandinave siano tra i paesi con il numero più basso di casi COVID-19 e tassi di mortalità pro capite in Europa, nonostante il lockdown non sempre sia stato rigoroso ovvero del tutto assente come in Svezia.

Tornando al lavoro, i ricercatori, con i loro risultati sono quindi riusciti a trovare una significativa relazione tra i livelli medi di vitamina D e il numero di casi COVID-19, e in particolare i tassi di mortalità rispetto alla popolazione attraverso i 20 paesi europei.

In definitiva, anche in questo caso risulta importante contrastare eventuali carenze di vitamina D per scongiurare sia l’infezione da virus COVID-19 quanto un eventuale decorso nefasto. Per cui cerchiamo di esporci al sole regolarmente e facciamo attenzione all’alimentazione in modo da comprendere costantemente cibi contenenti buoni quantitativi di Vitamina D.

Giacomo Pagliaro

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https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s40520-020-01570-8.pdf