Normalmente, nella nostra società occidentale (e non solo), gli esseri umani consumano cibo almeno 3 volte al giorno e spesso ben oltre i propri fabbisogni. Tutto ciò, se associato ad uno stile di vita sedentario, comporta un aumento del rischio di sviluppo di insulino-resistenza e di accumulo di grasso viscerale.
La sopravvivenza e il successo riproduttivo di tutti gli organismi dipende dalla loro capacità di ottenere cibo. Di conseguenza, gli animali si sono evoluti con comportamenti e adattamenti fisiologici che consentono loro di sopravvivere a periodi di scarsità o assenza di cibo. In natura, quando il cibo non è disponibile per lunghi periodi di tempo alcuni organismi diventano dormienti; per esempio, il lievito entra in una fase stazionaria, gli orsi si ibernano e gli scoiattoli vanno in letargo.
Possediamo due organi importanti che ci consentono di attingere energia nelle fasi di fame/digiuno: il fegato e il tessuto adiposo. È importante sottolineare che ci siamo evoluti per avere alte prestazioni fisiche e mentali in situazioni di fame/digiuno. Esistono differenti modelli di restrizione alimentare:
– Digiuno intermittente ( DI ): i soggetti trascorrono periodi di tempo prolungati (ad esempio, 16-48 ore) con poca o nessuna assunzione di energia, con periodi intermedi di assunzione di cibo, su base ricorrente. Nel digiuno intermittente rientra: il digiuno completo a giorni alterni e la restrizione di energia del 70% a giorni alterni, con consumo di solo 500-700 kcal per due giorni consecutivi / settimana.
– Digiuni periodici ( DP): dove il digiuno dura da 2 a 21 giorni, nei quali rientrano i protocolli di 4-5 giorni solo con acqua, 2-5 giorni solo con acqua, oppure 7 giorni solo con acqua.
– Alimentazione limitata nel tempo ( ALT): modello alimentare in cui l’assunzione di cibo è limitata a una finestra temporale di 8 ore o meno ogni giorno.
Ad ogni modo, qualsiasi modello di digiuno si decida di applicare, tutti determinano i seguenti cambiamenti nel sangue: glicemia normale/bassa, esaurimento o riduzione delle riserve di glicogeno, mobilizzazione degli acidi grassi e generazione di chetoni, riduzione della leptina circolante e spesso elevazione dei livelli di adiponectina. I cambiamenti comportamentali che si verificano durante il periodo di digiuno includono aumento della prontezza, eccitazione e aumento dell’acuità mentale.
Numerosi studi vengono fatti sia su cavie animali che sull’uomo. Di solito, negli studi su cavie si confrontano gruppi di controllo, alimentati a sazietà, e gruppi che sono sottoposti a diete ipocaloriche o a digiuno intermittente. I topi da laboratorio sono tipicamente sedentari e vivono in un ambiente poco ricco di stimoli, e questo pertanto li rende simili a molti esseri umani. Secondo studi effettuati da Goodrick et al., 1983; Anson et al., 2003; Wan et al., 2003, i topi alimentati con una dieta a giorni alterni presentano pesi corporei inferiori del 5-10%, rispetto ai topi alimentati a piacere, inoltre vivono anche il 30-40% in più!
Nelle stesse cavie sono stati riscontrati bassi valori di insulina e leptina, ed un aumento di adiponectina, con conseguente miglioramento della tolleranza glucidica e riduzione del grasso viscerale. Ulteriori esperimenti su cavie segnalano che il digiuno intermittente ha un effetto antidiabetico in modelli di roditori che hanno sviluppato diabete di tipo 2.
A livello cellulare e molecolare, il DI determina una maggiore sensibilità del recettore insulinico e quindi un maggiore assorbimento di glucosio da parte delle cellule muscolari, epatiche e neuronali. Essendo la restrizione calorica a giorni alterni, si verifica uno stress acuto che, contrariamente ad uno cronico che determina vulnerabilità neuronale, determina plasticità sinaptica e resistenza neuronale. Inoltre, la frequenza cardiaca a riposo dei ratti si riduce, in modo molto simile a come se stessero svolgendo con regolarità attività aerobica.
Tutto questo è mediato dall’aumento del tono del parasimpatico e all‘aumento del brain-derived neurotrophic factor ( BDNF).
Secondo Wan et al., 2014 l’aumento della segnalazione BDNF si verifica in risposta sia all’esercizio che al digiuno intermittente.
Questo importante fattore neutrofico, insieme a PGC-1α (un regolatore principale dei geni coinvolti nella biogenesi mitocondriale) e sirtuin 3 (SIRT3; una deacetilasi proteica mitocondriale che sopprime lo stress ossidativo e l’apoptosi), determina una maggiore biogenesi mitocondriale e resistenza allo stress. Questi ultimi adattamenti neuronali citati possono contribuire al miglioramento della funzione cognitiva dei roditori mantenuti su alimentazione a giorni alterni rispetto a quelli alimentati a piacere. Quindi i topi che in laboratorio seguono un digiuno intermittente ottimizzano le proprie prestazioni cognitive e aumentano la resistenza a lesioni e malattie!
Gli studi sull’uomo si sono concentrati prevalentemente nel cercare di considerare il DI come una strategia per ridurre il peso e correggere le alterazioni metaboliche in soggetti sovrappeso o obesi. Questo perché è estremamente difficile seguire per tutta la vita una dieta ipocalorica e si rischia spesso e volentieri il fallimento terapeutico. In letteratura si evince che in tutti gli studi effettuati il DI non sembra portare a un sovra-consumo compensativo nei giorni non a dieta.
Inoltre, secondo uno studio di Anastasiou et al del 2015, è da sottolineare che le diete ipocaloriche determinano mantenimento del peso a distanza di 12 mesi solo in circa il 50% dei casi con recupero di massa grassa e alterazione della composizione corporea, cosa che si verifica solo nel 20% circa dei pazienti sottoposti a Digiuno Intermittente.
Tutto questo suggerisce che bisognerebbe adottare con più serenità, nei soggetti obesi e sovrappeso, questo protocollo dietetico, almeno per consentire ai pazienti in questione di non essere legati continuamente al conteggio delle kcal.
Di seguito, si passeranno in dettagliata rassegna gli effetti del digiuno intermittente sull’evoluzione delle più comuni malattie metaboliche della nostra società. Sono pochi gli studi sull’uomo che mettono in relazione digiuno intermittente e diabete mellito di tipo 2. Secondo Ash et all in uno studio del 2003, un DI di 4 giorni al mese ha portato a riduzione di grasso viscerale e di emoglobina glicata dell’ 8,4% in più, rispetto ad una dieta ipocalorica, in soggetti sovrappeso-obesi con diabete mellito tipo 2.
Se ne deduce che una dieta ipocalorica potrebbe potenziare i propri effetti insulino sensibilizzanti, se associata mensilmente a dei periodi di DI. Più numerosi risultano invece i lavori che correlano digiuno intermittente e riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari. Varady ha condotto molteplici studi per valutare gli effetti dell’alimentazione a giorni alterni sui fattori di rischio cardiovascolari nei soggetti in sovrappeso e obesi. I risultati sono strabilianti: diminuzione della frequenza cardiaca a riposo e della pressione arteriosa, dei livelli circolanti di glucosio, insulina e omocisteina.
Gli studi di Harvie del 2011 e del 2013 hanno evidenziato inoltre riduzione dei trigliceridi e del colesterolo LDL.
Attualmente non ci sono dati sugli effetti di digiuno intermittente e incidenza di cancro negli esseri umani, sicuramente però il controllo del peso riduce l’incidenza dei tumori che sono collegati all’obesità. Tutto questo perché nel tessuto adiposo delle persone obese aumenta la leptina, che è responsabile, mediante la perdita della sensibilità insulinica, dell’infiammazione che influisce direttamente sulla prolificazione cellulare e sulla disregolazione dell’apoptosi.
In base a quanto abbiamo descritto, in conclusione, il digiuno intermittente sembra ritardare l’insorgenza e rallentare la progressione della disfunzione neuronale nei modelli animali delle malattie di Alzheimer, Parkinson e Huntington. I risultati emergenti stanno rivelando meccanismi cellulari e molecolari mediante i quali il DI aumenta la resistenza di cellule, tessuti e organi allo stress e malattie comuni associate all’invecchiamento e stili di vita sedentari ed eccessivamente indulgenti.
I risultati degli studi sull’uomo in cui vari indicatori di salute sono misurati al basale e dopo periodi di digiuno intermittente di 2-6 mesi o più, suggeriscono che il DI può proteggere dalla sindrome metabolica e dai disturbi associati, tra cui diabete e malattie cardiovascolari. Recenti studi clinici sul digiuno intermittente in pazienti con tumore o con sclerosi multipla, hanno generato risultati promettenti che forniscono una valida motivazione per andare avanti con studi clinici più ampi in pazienti con una gamma di disturbi cronici legati all’età e all’obesità.
Dott.ssa Stefania De Chiara
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