Uno dei primi esperimenti sull’uso del digiuno, come rimedio per l’epilessia, fu messo in atto da una coppia di medici parigini, Gulep e Marie, nel 1911. Trattarono venti soggetti, tra bambini e adulti, con epilessia e osservarono che le convulsioni erano meno gravi durante il trattamento.
All’inizio del XX secolo, negli Stati Uniti, due sono stati i report sull’uso del digiuno in chiave terapeutica: il primo di un osteopata, il dottor Hugh W. Conklin, e il secondo di Bernarr Macfadden.
Macfadden era un cultore della forma fisica e un genio dell’editoria della prima parte del 20° secolo. Consigliava ai suoi lettori come aumentare la massa muscolare, come mantenersi in salute e come affrontare e gestire la malattia. Ogni numero della sua rivista, Physical Culture, conteneva articoli su uomini e donne “debolucci” che sono diventati sani, forti e belli attraverso dieta ed esercizio fisico adeguati. Alla fine della prima guerra mondiale, la tiratura della rivista aveva raggiunto le 500.000 copie. Macfadden sosteneva che il digiuno da 3 giorni a 3 settimane potesse alleviare e curare quasi tutte le malattie, inclusa l’epilessia.
Il dottor Conklin iniziò come assistente di Macfadden e adottò il suo metodo di digiuno per curare vari disturbi. Sono stati la pratica del digiuno del dottor Conklin per curare l’epilessia e i suoi risultati che hanno attirato l’attenzione di un altro pioniere nello studio dell’epilessia, H. Rawle Geyelin, un endocrinologo del New York Presbyterian Hospital. Il Dr. Geyelin riferì per la prima volta alla Convenzione dell’American Medical Association nel 1921 della sua esperienza con il digiuno come trattamento dell’epilessia. Il dottor Geyelin è stato il primo a documentare il miglioramento cognitivo che potrebbe verificarsi con il digiuno.
All’inizio degli anni ’20, i dott. Cobb e Lennox della Harvard Medical School iniziarono a studiare gli effetti del digiuno durante un trattamento per l’epilessia. Sono stati i primi a notare che il miglioramento delle crisi si verificava in genere dopo 2-3 giorni. Lennox ha documentato che il controllo delle convulsioni avveniva attraverso un cambiamento del metabolismo dovuto al fatto che la semplice assenza di cibo o la carenza di carboidrati costringeva il corpo a bruciare come fonte energetica i grassi.
Nel 1921 furono fatte due osservazioni cardine.
Woodyatt osservò che l’acetone e l’acido beta-idrossibutirrico compaiono in un soggetto normale per fame o per una dieta a basso tenore di carboidrati ed alto tenore di grassi.
Nello stesso periodo, il dottor Wilder della Mayo Clinic, credendo nei benefici della chetosi ottenuti o con assenza di cibo o con un regime a ridotto intake di carboidrati, propose di provare una dieta chetogenica in una serie di pazienti con epilessia. Suggerì che la dieta dovrebbe essere efficace quanto il digiuno e potrebbe essere mantenuta per un periodo di tempo molto più lungo. È stato lui a coniare il termine “dieta chetogenica”.
Successivamente nel 1925, Peterman, della stessa Mayo Clinic, definì il calcolo per l’induzione della chetosi: 1 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo nei bambini, 10-15 g di carboidrati al giorno e il resto delle calorie sotto forma di grassi.
Peterman documentò l’importanza di insegnare ai caregiver la gestione della dieta prima della dimissione, l’individualizzazione della dieta e un follow-up ravvicinato. L’uso della dieta chetogenica è stato segnalato in quasi tutti i libri di testo completi sull’epilessia nei bambini che sono apparsi tra il 1941 e il 1980. La maggior parte di questi testi aveva capitoli interi che descrivevano la dieta, spiegavano come iniziarla e come calcolare i piani alimentari.
Quando Merritt e Putnam scoprirono la difenilidantoina nel 1938, si spostò l’attenzione del medico dal meccanismo d’azione e dall’efficacia della dieta chetogenica ai nuovi farmaci antiepilettici.
Mano a mano che i nuovi farmaci anti epilettici (valproato di sodio in primis) hanno preso piede, il protocollo dietetico sovracitato veniva abbandonato.
L’uso della dieta chetogenica è diminuito notevolmente e PubMed ha elencato solo da due a otto pubblicazioni all’anno dal 1970 al 2000.
Tuttavia, la situazione è cambiata radicalmente quando Dateline della NBC-TV ha mandato in onda un programma sul trattamento chetogenico, dando a questo protocollo l’attenzione dei media nazionali.
Di conseguenza, c’è stato un drammatico aumento delle pubblicazioni PubMed con una media di oltre 40 all’anno da allora. Questo programma televisivo era basato sulla vera storia di Charlie, un bambino di 2 anni con convulsioni generalizzate intrattabili, che si presentò per disperazione al Johns Hopkins Hospital per il trattamento. Fu visto dal dottor Freeman e iniziò il protocollo chetogenico. Divenne rapidamente libero da crisi epilettiche e la Charlie Foundation fu fondata da suo padre.
Attualmente negli Stati Uniti e in Europa la dieta chetogenica è la penultima o l’ultima scelta per il trattamento di quasi tutte le epilessie infantili. Molto lavoro deve ancora essere fatto per migliorare la percezione dell’utilità di questo trattamento che di sicuro può essere complementare ai trattamenti farmacologici nei piccoli pazienti, allo scopo di far assumere loro meno farmaci e sopportare meno effetti collaterali.
Dott.ssa Stefania De Chiara
Per approfondimenti
Bibliografia :
Peterman MG. (1925) The ketogenic diet in epilepsy. JAMA 84:1979– 1983.
Livingston S. (1972) Comprehensive management of epilepsy in infancy, childhood and adolescence. Charles C. Thomas, Springfield, IL, pp. 378–405.
Wheless JW. (2004) History and origin of the ketogenic diet. In Stafstrom CE, Rho JM (eds). Epilepsy and the ketogenic diet. Humana Press, Inc., Totowa, NJ, pp. 31–50.