Uno degli obiettivi prioritari del Servizio Sanitario Nazionale è la sicurezza dei pazienti. Per lo sviluppo di interventi efficaci è necessario comprendere le criticità dell’organizzazione e dei limiti individuali, promuovendo l’analisi degli eventi avversi che devono diventare occasione di insegnamento.
La sicurezza dei pazienti, uno dei fattori determinanti la qualità delle cure, dipende dall’interazione di molteplici componenti che agiscono nel sistema; le pratiche di governo clinico devono mettere i bisogni dei cittadini al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari, valorizzando il ruolo e la responsabilità di tutte le figure professionali che operano in sanità. La formazione dei professionisti è uno strumento indispensabile per assicurare l’erogazione di cure efficaci e sicure. Tra le varie problematiche affrontate nella gestione del rischio clinico rientra anche la malnutrizione ospedaliera, pertanto l’A.N.M.D.O. (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere) ha stilato il documento “Progetto Linea Guida Nutrizione in ospedale – Rischio clinico: integrazione e valorizzazione della nutrizione clinica nei percorsi di cura”.
Dal punto di vista epidemiologico, infatti, la malnutrizione calorico-proteica (MCP) è un problema rilevante: in Italia il 30% dei pazienti all’atto del ricovero presenta malnutrizione calorico-proteica. La sua forma iatrogena, cioè dovuta a intervento inadeguato o assente, non è inferiore al 15%. Un regolare monitoraggio dello stato di nutrizione, oltre a migliorare sensibilmente la qualità ed appropriatezza delle cure porterebbe a significativi risparmi annui, grazie anche alla riduzione dei giorni di degenza. Nel caso di pazienti istituzionalizzati (es. in residenza protetta) la prevalenza arriva al 40-60%.
Non di minore importanza è da segnalare come annualmente circa 35.000 pazienti neoplastici in Italia muoiono a causa della malnutrizione calorico-proteica e non per la malattia stessa. I pazienti ricoverati solo raramente vengono monitorati in relazione all’andamento dell’indice di massa corporea, quindi con rilevazione del peso e dell’altezza. Tra i fattori che possono portare, nei luoghi di cura, ad un inadeguato intake energetico e idrico, con conseguente perdita di peso e malnutrizione, vi è sicuramente la mancanza di individualizzazione della qualità e quantità di alimenti con menù ripetitivi e limitati oppure motivazioni cliniche, quali la difficoltà ad alimentarsi nei pazienti in gravi condizioni cliniche con compromissione dello stato di coscienza, problemi di dentizione o disfagia, la sarcopenia negli anziani, la presenza di stati depressivi o la difficoltà ad alimentarsi autonomamente per assenza del supporto di un caregiver. Già semplicemente da quanto elencato sopra si può comprendere come la nutrizione controllata potrebbe concretamente diventare uno strumento terapeutico e preventivo essendo fondamentale nel percorso terapeutico di ogni paziente.
Le principali raccomandazioni per la gestione del rischio clinico correlato alla malnutrizione in ospedale riguardano :
– L’idratazione in ospedale: l’acqua alimento per i ricoverati. La disidratazione può essere di due tipi: con perdita di acqua (iperosmolare, dovuta all’incremento di sodio o glucosio) e con perdita di acqua e sali (iponatriemia). Un bilancio idrico negativo può in casi estremi portare a insufficienza renale acuta, mentre un bilancio eccessivamente positivo può portare ad un sovraccarico di liquidi e iponatriemia. I principali effetti avversi associati alla disidratazione sono: cadute, fratture, problemi cardiaci, confusione, delirio, stress da caldo, stipsi, insufficienza renale, ulcere da pressione, scarsa guarigione delle ferite, outcome di riabilitazione subottimale, infezioni, convulsioni, tossicità da farmaci e riduzione della qualità di vita. Il miglior metodo per registrare introito idrico sembra essere la registrazione di un diario di 3-4 giorni. Se non possibile, si suggerisce l’utilizzo di una recall delle 24 h. Il gold standard per la valutazione del bilancio idrico sembra essere l’osmolalità plasmatica, una misura oggettiva affidabile. Un’osmolalità maggiore di 301 mmol/kg è indice di disidratazione. Uno strumento pratico e immediato per valutare il rischio di disidratazione può essere il riscontro di secchezza della lingua. L’idratazione adeguata sembra essere associata ad una diminuzione del rischio di outcome avversi, inclusi disturbi urologici, gastrointestinali, circolatori e neurologici. Inoltre, il mantenimento di un buono stato di idratazione è importante per preservare la funzione fisica e mentale.
– Paziente diabetico: dieta ipocalorica / ipoglucidica e indice glicemico. Dati osservazionali e di intervento indicano che l’iperglicemia negli ospedalizzati con o senza diabete è associata ad aumento di morbidità e mortalità, e che il miglioramento del controllo glicemico riduce le complicanze e i costi ospedalieri. Ottimizzare il controllo glicemico dovrebbe essere una priorità per tutti i sistemi di cura, secondo le linee guida, sia nelle unità di cura intensive che non intensive. Particolare attenzione va riservata ad alcune tipologie di pazienti diabetici. Per quanto riguarda gli anziani bisogna porre un’attenzione particolare avendo essi spesso bisogni nutrizionali particolari: presentano una fisiologica diminuzione del gusto e nel senso olfattivo, perdita della sensazione di sete, il tutto spesso accompagnato da malnutrizione. Spesso saltano i pasti, sono anoressici a causa di disturbi cognitivi, difficoltà di deglutizione, disturbi gastrointestinali, solitudine e depressione, pertanto le quantità di carboidrati consumate dovrebbero essere conteggiate per calcolare le dosi di insulina. Nei pazienti in nutrizione artificiale (enterale o parenterale), il monitoraggio della glicemia dovrebbe essere effettuato ogni 4-6 ore e individualizzato per controllare l’iperglicemia durante la nutrizione, evitando l’ipoglicemia se viene sospesa. Per le donne con il diabete di tipo I, II e gestazionale, uno scarso controllo glicemico può aumentare significativamente i rischi fetali per esiti avversi. Una terapia medica e nutrizionale viene raccomandata per tutte le donne con diabete per facilitare l’euglicemia durante il periodo gestazionale (Linee Guida American Diabetes Association, ADA).
Per quanto riguarda la terapia nutrizionale, il trattamento del diabete in ospedale resta ancora oggi un problema. Le linee guida esistenti non possono essere implementate direttamente in ospedale, poiché riguardano primariamente il trattamento a lungo termine negli stadi meno gravi e senza comorbidità. Solitamente, i pazienti ospedalizzati con diabete sono in uno stadio avanzato della patologia, con comorbidità e una degenza ospedaliera abbastanza breve (media di 8 giorni). La terapia nutrizionale in ospedale include l’integrazione del diabete nel piano di cura per quanto riguarda le condizioni, l’educazione nell’autogestione della patologia e la coordinazione per promuovere un ottimale controllo glicemico in ospedale e un piano appropriato per la dimissione. I bisogni stimati di nutrienti per i diabetici sono gli stessi di quelli per la popolazione generale, con una dieta designata basata sui bisogni metabolici. La distribuzione dei pasti e degli spuntini dovrebbe comprendere sempre carboidrati per la sicurezza del paziente e la gestione della glicemia. Il dietista dovrebbe provvedere ad una valutazione accurata nei casi di alto rischio di iperglicemia.
C’è un interesse crescente nella capacità di influenzare lo stato di salute con le caratteristiche glicemiche dei carboidrati. In passato, si riteneva che la risposta glicemica fosse determinata principalmente dalla quantità di carboidrati della dieta. Recentemente, il concetto dell’indice glicemico (IG) ha mostrato che i cibi con quantità simili di carboidrati non hanno lo stesso impatto sul livello di glucosio. Oggigiorno, IG è stato trasformato in uno strumento utile nella composizione delle diete per i pazienti diabetici, per la prevenzione e la gestione di esso, per la prevenzione della dislipidemia, delle patologie cardiovascolari e in alcune tipologie di neoplasie. Nonostante diversi studi abbiano suggerito l’applicazione del concetto del IG e del carico glicemico CG dei cibi per la prevenzione e gestione del diabete tipo II, l’ADA è ancora esitante nell’adozione di questo concetto per la gestione di questo. L’IG è definito come l’area sotto la curva della risposta glicemica dopo il consumo di 50 g di carboidrati di un cibo ‘test’ in rapporto all’area sotto la curva dopo il consumo di 50 g di carboidrati di un cibo ‘controllo’ (pane bianco o glucosio). È una classificazione del potenziale dei cibi di innalzare la glicemia comparato al glucosio o al pane bianco.
– Il paziente nefropatico: scelta ipoproteica e controllo di potassio e fosforo. I pazienti con insufficienza renale cronica (IRC) residenti in comunità di cura, avendo bisogni nutrizionali complessi specifici e che variano a seconda dello stadio della patologia, sono a rischio, più di altri, di iponutrizione e ipoidratazione. Nei pazienti ospedalizzati, la malnutrizione ritarda il recupero, prolunga l’ospedalizzazione, aumenta i tassi di infezione e di riammissione e può portare alla necessità di istituzionalizzazione. In particolare i pazienti uremici sono a rischio di malnutrizione proteico-energetica (protein-energy wasting, PEW), questa sindrome di depauperamento proteico-energetico è molto comune nei pazienti con IRC, causando un deterioramento della qualità di vita e una diminuzione della sopravvivenza a breve termine. È una condizione patologica in cui le problematiche nutrizionali ed il catabolismo si alimentano a vicenda, creando un circolo vizioso che rende difficile la distinzione tra le due componenti nella pratica clinica. La PEW è uno stato patologico caratterizzato da una continua diminuzione o deterioramento dei depositi di proteine e delle riserve di energia, inclusi una perdita di massa grassa e muscoli. I piani nutrizionali giocano un ruolo importante nel rallentamento del declino della funzionalità renale. Una moltitudine di fattori possono influenzare lo stato nutrizionale e metabolico dei pazienti con IRC, aspetto che richiede la combinazione di diverse terapie per prevenire o invertine la deplezione proteico-energetica. Queste includono l’ottimizzazione dell’intake di nutrienti, un appropriato trattamento di disturbi metabolici, come l’acidosi, l’infiammazione sistemica, i deficit ormonali e la prescrizione di ottimali regimi dialitici.
Gli obiettivi degli interventi nutrizionali nell’IRC includono il riconoscimento delle cause iniziali dell’IRC (diabete e ipertensione), il raggiungimento e mantenimento di uno stato nutrizionale e un bilancio dell’azoto ottimali, la prevenzione dell’incremento di prodotti metabolici tossici minimizzando il rischio di uremia, l’evitamento di complicanze, come l’iperfosfatemia, anemia, ipercalemia, ipervolemia e acidosi metabolica. Attraverso questi meccanismi si dovrebbero ridurre i rischi per complicanze secondarie, quali iperparatiroidismo, malnutrizione, deplezione muscolare, danni cardiaci, ipertensione, fatigue, mancanza di respiro, nausea e una qualità scarsa di vita. In generale, una diagnosi precoce potrebbe permettere un intervento tempestivo non solo per rallentare la progressione fino alla fase finale della patologia, ma anche per ridurre i rischi cardiovascolari e la mortalità associata all’IRC. I medici, i nefrologi, i dietisti e la ristorazione dovrebbero lavorare integrandosi con lo staff delle comunità di cura per assicurare il raggiungimento degli obiettivi nutrizionali e la continuità dell’alimentazione.
– Il paziente oncologico in terapia e carenze micro nutrizionali. La malnutrizione è associata a esiti scarsi e costi di cura elevati a causa dell’incremento di complicanze, della durata della degenza e degli ingressi ospedalieri non pianificati. L’identificazione precoce e l’intervento tempestivo nella valutazione della malnutrizione limita risultati scarsi e porta vantaggi da un punto di vista economico. I pazienti ospedalizzati rappresentano un gruppo eterogeneo con diversi bisogni clinici e culturali, spesso con una diagnosi di malnutrizione all’ingresso o in corso di ospedalizzazione. Lo stato nutrizionale dei pazienti con neoplasia è un determinante critico del successo del trattamento e della qualità di vita, e può variare a partire dalla presentazione e in tutto il percorso di cura. Nei pazienti con sarcopenia viene riportata una sopravvivenza minore e una tossicità maggiore da chemioterapia, con maggiori interruzioni del trattamento e riduzioni delle dosi. L’obesità sarcopenica è la presenza di sarcopenia in soggetti con un BMI > o = 25 kg/m2. Impedimenti alla nutrizione, il metabolismo basale, la localizzazione e lo stadio della patologia, la tipologia di trattamento (chirurgia, chemioterapia, radioterapia) possono avere un effetto diretto e/o indiretto sullo stato nutrizionale. L’introito orale è spesso impedito dai sintomi, quali l’anoressia, le alterazioni nel gusto e negli odori, la presenza di mucosite, disfagia, stomatite, nausea, vomito, diarrea, costipazione, malassorbimento, dolore, depressione e ansia. Gli obiettivi della terapia nutrizionale devono prevedere individualizzazione per ogni paziente a seconda dello stato nutrizionale, della tipologia e stadio della patologia, dalle comorbidità e dal tipo di trattamento:
- Pazienti normopeso e con buono stato nutrizionale: mantenimento massa magra e peso.
- Pazienti con malnutrizione relativa a patologia acuta: supporto della funzione vitale dell’organo, preservazione della risposta dell’ospite, incremento di introiti energetici e proteici.
- Pazienti con malnutrizione relativa a patologia cronica: mantenimento e miglioramento della massa magra e grassa.
- Obesità (senza malnutrizione): mantenimento massa magra, considerando una perdita di peso modesta (< 1 kg/sett).
Elisabetta Marotti
Per approfondimenti:
– http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_640_allegato.pdf
– http://www.societaitalianarischioclinico.com/wp-content/uploads/2018/01/linee-guida-nutrizione.pdf