Si parla di insufficienza intestinale (II) quando la riduzione della funzione intestinale è al di sotto del minimo necessario per l’assorbimento di macronutrienti, acqua ed elettroliti, ed è necessaria un’integrazione endovenosa per mantenere lo stato di salute del soggetto e la crescita nei bambini. Si parla invece di deficit intestinale quando la riduzione della funzione di assorbimento dell’intestino non richiede alcun supplemento endovenoso per mantenere la salute e la crescita.
L’insufficienza intestinale può essere così classificata:
– Classificazione funzionale:
- tipo I (condizione acuta, a breve termine);
- tipo II (condizione acuta prolungata);
- tipo III (condizione potenzialmente cronica).
– Classificazione fisiopatologica:
- intestino corto;
- fistola intestinale;
- dismotilità intestinale;
- ostruzione meccanica;
- malattia estesa della mucosa dell’intestino tenue.
– Classificazione clinica : sulla base dell’energia e del volume della supplementazione endovenosa richiesta.
L’insufficienza intestinale cronica può essere la conseguenza di gravi malattie benigne gastrointestinali o sistemiche o lo stadio terminale di un cancro intra-addominale o pelvico.
L’ESPEN (European Society for Clinical Nutrition and Metabolism ) ha pubblicato una linea guida pratica rivolta agli operatori sanitari (medici, dietologi, nutrizionisti, infermieri) coinvolti nella gestione dei pazienti adulti con insufficienza intestinale cronica. In 112 raccomandazioni con brevi commenti ci sono indicazioni per la gestione e il trattamento dell’insufficienza intestinale cronica (IIC) benigna (ossia non in fase terminale di malattia), compresa la nutrizione parenterale domiciliare (NPD) e le sue complicanze, la riabilitazione intestinale e il trapianto intestinale.
Tutti i pazienti che sono candidati ad iniziare un programma di NPD dovrebbero avere documentata una IIC prolungata che, se non trattata, porterebbe a un deterioramento dello stato nutrizionale e/o dell’idratazione e dovrebbero essere stati sottoposti ad un tentativo di nutrizione enterale (NE), se fattibile (tranne, per esempio, in caso di intestino estremamente corto). Dovrebbero essere gestiti da un medico e da un team di supporto nutrizionale multidisciplinare (TSN) che ha esperienza nella IIC. Per ottimizzare la sicurezza e l’efficacia, dovrebbero essere utilizzate procedure e protocolli basati sull’evidenza per educare i pazienti e gli assistenti (compreso il personale ospedaliero e di assistenza domiciliare) sulla cura del catetere e per monitorare lo stato nutrizionale, metabolico e clinico del paziente.
È importante che le infezioni correlate al catetere vengano diagnosticate precocemente e trattate in modo efficace per ridurre al minimo i rischi associati. Tutte le complicanze legate alla NPD, tra cui l’ostruzione del catetere, la trombosi venosa centrale, le malattie del fegato e l’osteoporosi, dovrebbero essere riconosciute come parte della sorveglianza regolare e trattate precocemente all’interno di un team di supporto nutrizionale esperto (TSN) per prevenire successive complicanze irreversibili.
I pazienti vanno sottoposti a controlli degli esami ematochimici e non solo: devono essere misurati frequentemente fino a quando non si stabilizzano, poi ad intervalli regolari gli elettroliti, inclusi Na+, K+, Cl-, HCO3-, la funzionalità renale (creatinina e azoto ureico nel sangue). Devono essere controllati regolarmente anche l’emocromo completo, gli enzimi epatici, della bilirubina, dell’albumina. I livelli di vitamine ed oligoelementi andrebbero dosati una o due volte all’anno. La densitometria minerale ossea deve essere eseguita all’inizio della NPD e ad intervalli successivi.
Si raccomanda che, prima della dimissione a domicilio, i pazienti siano metabolicamente stabili; inoltre i pazienti ed i loro assistenti devono essere in grado di far fronte fisicamente ed emotivamente alla terapia con NPD, previa formazione (con linee guida scritte) e dopo aver dimostrato competenza nella cura di sé prima della dimissione. Inoltre è fondamentale che abbiano un ambiente domestico adeguato per una somministrazione sicura della NPD. La formazione per la NPD può svolgersi in ospedale oppure a casa.
E’ raccomandato inoltre un contatto regolare da parte del team NPD con i pazienti, programmato in base alle caratteristiche cliniche e alle esigenze dei pazienti. Viene suggerito che i pazienti in NPD siano incoraggiati a partecipare alle attività delle associazioni senza scopo di lucro che forniscono opportunità di istruzione, supporto e networking ai membri. Questo può risultare vantaggioso per i pazienti in trattamento con NPD per quanto riguarda la qualità della vita, la depressione e la prevenzione delle infezioni del catetere venoso.
Per quanto riguarda il fabbisogno proteico ed energetico per i pazienti con IIC è raccomandato che si basi sulle caratteristiche individuali del paziente (es. capacità di assorbimento intestinale stimata sull’anatomia gastrointestinale e/o malattia sottostante) e sui bisogni specifici (es. malattia acuta, malnutrizione proteica), e che l’adeguatezza del regime venga regolarmente valutata attraverso parametri clinici, antropometrici e biochimici. Negli individui sani, le linee guida nazionali e internazionali hanno raccomandato che il fabbisogno proteico sia di 0,8-1 g/kg/giorno. Molti pazienti stabili in NPD sono mantenuti in modo soddisfacente con prescrizioni che forniscono 0,8-1,4 g di proteine/kg/die. Le fonti di energia per le prescrizioni della NPD possono essere derivate da un’emulsione combinata di carboidrati e grassi somministrata insieme o da prescrizioni separate di emulsione di glucosio e grassi somministrate in giorni diversi. La determinazione del fabbisogno energetico deve essere basata su una valutazione nutrizionale formale che includa i bisogni specifici della malattia. I fattori individuali da considerare includono le condizioni mediche, lo stato nutrizionale, il livello di attività e la funzione degli organi. I pazienti in NPD mantengono spesso un’assunzione orale significativa che può essere almeno in parte ancora assorbita e contribuire quindi all’assunzione di energia. Il colon ha dimostrato di essere un organo di recupero energetico. Molti pazienti stabili in NPD sono mantenuti in modo soddisfacente con 20-35 kcal di energia totale per kg al giorno. Si raccomanda che i pazienti in NPD abbiano un controllo ottimale della glicemia, con una glicemia inferiore a 180 mg/dl durante l’infusione della NPD e normali livelli di HbA1c (se diabetici tra 6.5-7.5), attraverso un monitoraggio regolare.
Si suggerisce, nei pazienti totalmente dipendenti da NPD, un apporto minimo di 1 g/kg/settimana di emulsione lipidica endovenosa contenente acidi grassi essenziali (AGE), per prevenirne la carenza.
Si raccomanda un monitoraggio regolare di segni e sintomi di disidratazione, del bilancio idrico, dei test di laboratorio e della diuresi delle 24 ore, nonché un tempestivo aggiustamento della supplementazione di liquidi per prevenire l’insufficienza renale cronica nei pazienti in NPD. I pazienti in NPD, in particolare quelli con sindrome dell’intestino corto, sono a rischio di squilibrio idrico ed elettrolitico, che può portare a insufficienza renale acuta e cronica. Il fabbisogno idrico parenterale giornaliero varia da 25 a 35 ml/kg (circa 2,0-2,5 L) per l’individuo ben idratato. Per i pazienti in NPD che hanno una funzione renale normale e non assumono diuretici, la diuresi deve essere di almeno 0,8-1 lt al giorno. Per coloro che hanno una grave diarrea o un’elevata perdita dalla stomia, i requisiti di volume sono spesso notevolmente più elevati e ciò può essere ottenuto aumentando la componente acquosa della formula della NP. Le raccomandazioni sul dosaggio di liquidi ed elettroliti per la nutrizione parenterale si basano sull’esperienza clinica, poiché non sono disponibili studi randomizzati.
Si raccomanda un monitoraggio regolare dell’equilibrio acido-base nei pazienti in NPD a lungo termine (concentrazione sierica di cloruro e bicarbonato), poiché possono verificarsi sia acidosi metabolica che alcalosi metabolica. Le concentrazioni sieriche di cloruro e bicarbonato devono essere misurate di routine nei pazienti in NPD a lungo termine per IIC. L’alterazione dell’equilibrio acido-base può verificarsi attraverso diversi meccanismi dovuti sia alla condizione gastrointestinale sottostante, alle miscele nutrizionali endovenose e alle soluzioni elettrolitiche, sia alla presenza di compromessa funzionalità renale o respiratoria. L’acidosi metabolica con aumento del gap anionico può verificarsi a causa dell’elevata produzione di acido D-lattico da parte della fermentazione batterica del colon a partire da substrati di carboidrati in pazienti con SIC e con colon preservato.
Si raccomanda che la scelta del tipo di catetere venoso centrale (CVC) e la posizione del sito di fuoriuscita sia effettuata da un team multidisciplinare per NPD, insieme ad uno specialista esperto ed al paziente. E’ preferibile l’accesso dal lato destro rispetto a quello sinistro per il rischio di complicanze trombotiche. Si raccomanda che la punta del catetere sia posizionata a livello della giunzione atrio-vena cava superiore destra e che il sito di uscita del catetere sia facilmente visualizzabile e accessibile per i pazienti in modo che sia possibile un’adeguata gestione e medicazione da parte del paziente stesso. Si consiglia di utilizzare CVC tunnellizzati o dispositivi totalmente impiantati per la NPD a lungo termine. Per coloro che necessitano di NPD a lungo termine, i CVC tunnellizzati (come Hickman, Broviac o Groshong) o dispositivi totalmente impiantabili (port) sono le scelte usuali. Non si raccomanda, per una NPD prevista a lungo termine, l’uso di cateteri venosi centrali inseriti perifericamente (PICC), a causa del maggior rischio di trombosi e dei problemi legati all‘autosomministrazione domiciliare della NPD. I PICC sono usati occasionalmente ma in genere sono da preferire solo per i pazienti per cui è prevista una NPD di breve durata. Si raccomanda che l’accesso alla vena cava superiore sia la prima scelta per il posizionamento del CVC, attraverso la vena giugulare interna o la vena succlavia.
Riabilitazione nutrizionale – dieta: i pazienti con sindrome dell’intestino corto (SIC) dovrebbero consumare regolarmente diete integrali e devono essere incoraggiati a compensare il malassorbimento con l’iperfagia. L’assunzione a piccoli boli di altre sostanze tra i pasti possono aiutare ad aumentare l’apporto energetico complessivo. Nei pazienti SIC con colon conservato, gli acidi grassi a catena lunga non assorbiti accelerano il transito intestinale e riducono l’assorbimento di acqua e sodio e legandosi al calcio e al magnesio, possono aumentare l’assorbimento dell’ossalato, predisponendo così i pazienti alla formazione di calcoli renali. Nei pazienti con SIC con colon in continuità è preferibile una dieta più ricca di carboidrati (60%), meno di grassi (20%) al fine di aumentare l’assorbimento energetico assoluto complessivo. Nei pazienti con digiuno o ileostomie, sono possibili assunzioni di grassi significativamente più elevate, ma a spese di una maggiore perdita di cationi bivalenti: calcio, magnesio, zinco e rame. Ai pazienti con SIC e colon preservato è raccomandato il consumo di una dieta ricca di carboidrati complessi e povera di grassi mentre il rapporto grassi/carboidrati sembra di minore importanza nei pazienti senza colon. Ai pazienti con SIC e colon conservato si suggerisce una dieta ad un alto contenuto di trigliceridi a catena media (MCT) che conferisce un beneficio non trascurabile sull’assorbimento energetico complessivo rispetto a una dieta contenente trigliceridi a catena lunga regolari. Ai pazienti con SIC che consumano una dieta povera di grassi o dove i trigliceridi a catena lunga sono stati sostituiti con MCT, si raccomanda di prestare attenzione alla potenziale carenza di acidi grassi essenziali (AGE) e vitamine liposolubili. Non si raccomanda l’aggiunta alla dieta di fibre solubili (es. pectina) per migliorare l’assorbimento intestinale complessivo. Il lattosio non va escluso dalla dieta dei pazienti con SIC a meno che non sia stata documentata un’intolleranza su base clinica, come una chiara associazione tra ingestione di lattosio e aumento della diarrea o delle perdite dalla stomia. Una dieta contenente 20 g/die di lattosio è stata ben tollerata nei pazienti con SIC ma dovrebbe essere attentamente titolata in caso di precedente intolleranza. Dopo la resezione intestinale, i pazienti con SIC sono in genere supportati dalla nutrizione parenterale completa, dall’alimentazione enterale o orale se tollerata. L’obiettivo è fornire una migliore distribuzione e la massima esposizione della superficie intestinale disponibile ai nutrienti stimolando le secrezioni gastrointestinali e le secrezioni ormonali endogene che sono importanti per l’avanzamento dell’adattamento intestinale. Si suggerisce l’uso di NE in combinazione con l’alimentazione orale in pazienti con IIC con un basso livello di dipendenza dalla NPD e in cui il guadagno atteso con la NE potrebbe consentire loro lo svezzamento dalla NPD.
Si suggerisce che i pazienti con SIC usino liberamente il sale e limitino l’assunzione di liquidi orali in relazione ai pasti. Si suggerisce che i pazienti con disidratazione borderline o deplezione di sodio utilizzino una soluzione di reidratazione orale isotonica ad alto contenuto di sodio per rimpiazzare le perdite dallo stoma. E’ indicato di limitare l’assunzione orale di soluzioni a basso contenuto di sodio, sia ipotoniche (es. acqua, tè, caffè, o alcol) che ipertoniche (es. succhi di frutta, Coca Cola) al fine di ridurre le perdite in pazienti con perdite nette e con digiunostomia ad alta portata. L’obiettivo di fornire ai pazienti con SIC soluzioni per la reidratazione orale è ottimizzare il peso umido e l’assorbimento del sodio. Nel paziente con insufficienza intestinale borderline da SIC ciò dovrebbe garantire l’autonomia intestinale, nel paziente con IIC dovrebbe comportare una riduzione della necessità di liquidi per via parenterale e del supporto di sodio. La maggior parte dei pazienti con SIC tende a preferire l’uso abbondante di sale da cucina ai pasti e agli spuntini, mentre altri tollerano integrazione con capsule di cloruro di sodio (fino a 7 g/24 h). I pazienti SIC che sono particolarmente a rischio di disidratazione significativa e di disturbi elettrolitici sono quelli con una lunghezza ridotta del digiuno che termina nella stomia. Molti di questi pazienti tendono a secernere più sodio e liquidi di quanti ne assumano per via orale. Le soluzioni per la reidratazione orale raramente sono indicate nei pazienti con SIC e colon conservato. Un aumento dei liquidi sia ipotonici (es. acqua, tè, caffè) che ipertonici (bibite e succhi di frutta) teoricamente può stimolare la secrezione di liquidi o aumentare l’afflusso di liquidi e sodio nel lume del digiuno a causa della permeabilità dell’epitelio e ciò potrebbe aggravare ulteriormente le perdite stomali.
Elisabetta Marotti
Per approfondimento:
“Linea guida pratica ESPEN: nutrizione clinica nell’insufficienza intestinale cronica”
“ESPEN Guidelines on Chronic Intestinal Failure in Adults” Loris Pironi et al. Clin Nutrition 35: 247-307, 2016.
https://www.clinicalnutritionjournal.com/article/S0261-5614(16)00047-9/fulltext