L’iponatriemia, definita come una concentrazione plasmatica di sodio <135 mmol / l, è il disturbo elettrolitico più comunemente riscontrato nella pratica clinica. Si può presentare con un ampio spettro di sintomi clinici, da lievi a grave, fino addirittura al pericolo di vita. E’ associata ad aumento della mortalità, della morbilità e della durata della degenza ospedaliera. Nonostante ciò, la gestione dei pazienti rimane problematica. Dato che l’iponatriemia si presenta in differenti condizioni fa si che venga gestita da specialisti di aree diverse. Per ottenere una visione comune e olistica, gli specialisti delle discipline maggiormente coinvolte nella gestione di questa problematica clinica appartenenti a tre società scientifiche, la European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), la European Society of Endocrinology (ESE) e la European Renal Association – European Dialysis and Transplant Association (ERA-EDTA), rappresentate dalla European Renal Best Practice (ERBP), hanno collaborato alla stesura delle linee guida sull’approccio diagnostico e trattamento dell’iponatremia.
L’iponatriemia interessa il 15-20% (fino al 30%) dei soggetti adulti che accedono ai Dipartimenti di emergenza.
I sintomi possono variare da lievi come nausea, confusione, cefalea fino a severi con vomito, distress cardiorespiratorio, sonnolenza profonda e coma (Glasgow come scale ≤ 8).
I gravi sintomi legati all’iponatriemia sono causati dall’edema cerebrale e dall’aumento della pressione intracranica. Le cellule cerebrali iniziano a gonfiarsi quando l’acqua si muove dal compartimento extracellulare al compartimento intracellulare a causa di una differenza di osmolalità tra cervello e plasma. Questo di solito si verifica quando l’iponatremia si sviluppa rapidamente e il cervello ha avuto troppo poco tempo per adattarsi. Nel tempo, il cervello riduce il numero di particelle osmoticamente attive all’interno delle sue cellule (principalmente potassio e soluti organici) nel tentativo di ripristinare il suo volume. Questo processo richiede circa 24-48 ore; è per questo che si utilizza la soglia di 48 ore per distinguere l’iponatriemia acuta (<48 ore) dall’(≥ 48 h) iponatremia cronica.
Anche se i segni dell’iponatriemia acuta sono ben stabiliti e ben più gravi, è comunque ormai sempre più chiaro che anche i pazienti con iponatremia cronica e senza sintomi apparenti possono avere anomalie cliniche lievi. Tali anomalie includono disturbi della deambulazione, cadute, deficit della concentrazione e deficit cognitivi. Inoltre, i pazienti con iponatremia cronica più spesso hanno osteoporosi e presentano fratture ossee più frequentemente rispetto alle persone normonatriemiche. Infine, l’iponatriemia è associata ad un aumentato rischio di morte. Se queste sono associazioni sono casuali o semplicemente sintomi di problemi di fondo come insufficienza cardiaca o insufficienza epatica rimane ancora poco chiaro.
Nelle linee guida vengono passati in rassegna i meccanismi fisiopatologici e tutte le cause (renali e non). Inoltre viene indicata la modalità di infusione della soluzione salina ipertonica per il trattamento. È molto difficile, se non impossibile, impostare dei limiti “sicuri” per correggere iponatremia. Il rischio di sviluppare la sindrome da demielinizzazione osmotica sembra dipendere non solo dal tasso di aumento della concentrazione plasmatica di sodio ma anche da associati fattori di rischio sottostanti, come una storia di abuso di alcol, malattie epatiche, uso di diuretici tiazidici o farmaci antidepressivi e la durata dell’iponatremia.
Elisabetta Marotti
Per chi volesse consultare nel dettaglio le linee guida:
“Clinical practice guideline on diagnosis and treatment of hyponatraemia”. Spasovski G et al. Eur J Endocrinol. 2014 Feb 25;170(3):G1-G47.