Una causa principale di obesità potrebbe essere l’nstaurarsi, in forma cronica, di livelli ematici elevati di insulina. Ciò è quanto emerge da una sperimentazione appena pubblicata su Cell Metabolism che, di fatto, va a mettere in dubbio la diffusa credenza che l’aumento dei livelli di insulina sia secondaria all’obesità e alla resistenza insulinica.

Questo nuovo studio contribuisce a chiarire il dilemma se sia nato prima l’uovo o la gallina in questo argomento, attraverso la dimostrazione che animali con persistenti bassi livelli insulinici tendono a rimanere in forma indipendentemente da quanto sia grassa e consistente la loro dieta. I risultati costituiscono una delle prime evidenze dirette nei mammiferi, che livelli ematici alterati di insulina costituiscono un fattore predisponente l’obesità.

I risultati sono coerenti con studi clinici che hanno dimostrato che l’assunzione terapeutica al ungo termine di insulina da parte di pazienti obesi, predispone questi ad un aumento del peso.

Troppe volte si è discusso sulla questione se l’insulina sia positiva o negativa. Ma in realtà la risposta è: nessuna delle due. Ciò non vuol dire che i pazienti diabetici debbano interrompere la propria terapia insulinica. Assolutamente. Piuttosto occorre precisare che esistono degli intervalli entro i quali i livelli di insulina risultano essere ottimali.

Il gruppo di lavoro, si è avvantaggiato di una stranezza genetica in alcune nidiate di topi che presentavano due geni per l’insulina. Insulina 1 dimostrata primariamente nel pancreas e Insulina 2 presente anche nel cervello oltre, naturalmente, che nel pancreas. Attraverso l’eliminazione totale dell’Insulina 2 e variando le copie dell’Insulina 1, i ricercatori hanno prodotto topi differenti solo nei valori di insulinemia a digiuno. In caso di una dieta ad alto contenuto lipidico, i topi con un solo gene per l’Insulina e bassi livelli ematici di quest’ormone a digiuno, risultavano essere totalmente protetti dall’obesità anche senza alcuna perdita dell’appetito. I ricercatori hanno anche rilevato valori ridotti nei marker infiammatori e minori quantità di depositi di grasso epatici. Queste differenze, sono conseguenti ad una sorta di “riprogrammazione” dei tessuti adiposi di questi animali, che li induce a bruciare i substrati metabolici disperdendo un quantitativo maggiore di energia in forma di calore. In altre parole, i topi avevano “grasso bianco” che sembrava bruciasse più lipidi con produzione di energia, assomigliando, per certi versi, al comportamento del “grasso bruno”. E’ comunque da far presente che, ad oggi, non è chiaro se i riultati emersi possano avere degli immediati risvolti clinici, specie in considerazione del fatto che l’utilizzo di farmaci bloccanti la secrezione insulinica hanno spesso dimostrato effetti collaterali anche importanti. Sicuramente tutto ciò conforta l’importanza di adottare diete e schemi nutrizionali basati sulla riduzione dell’indice glicemico.

L’articolo in questione può essere recuperato al seguente link:

http://www.cell.com/cell-metabolism/abstract/S1550-4131(12)00453-6