La fibrillazione atriale (FA) è la più frequente aritmia cardiaca nell’anziano.
La prevalenza è minore dello 0.5%, nei soggetti con età compresa tra i 40 e i 55 anni e del 5-15 % nei soggetti con età maggiore di 80 anni.
La prevalenza è cresciuta progressivamente nel tempo e si stima sia destinata ad aumentare ancora dato il numero crescente dei soggetti con età superiore ai 65 anni.
Negli Stati Uniti è stato calcolato vi siano attualmente 2 milioni 300 mila persone affette da FA e si stima che nel 2050 questo numero raddoppierà. La FA conferisce un rischio di stroke 5 volte superiore rispetto alla popolazione non affetta, ed uno stroke su cinque è attribuibile a questa aritmia. La FA è inoltre associata ad un maggior rischio di morte, cardioembolismo periferico, ospedalizzazioni, scompenso cardiaco e compromissione ventricolare sinistra con conseguente riduzione della qualità della vita e della capacità di svolgere attività fisica.
Secondo un recente studio pubblicato dal Professor Mozzaffarian Dariush, del Dipartimento di Epidemiologia della Harvard School of Public Health, soggetti con livelli ematici di acidi grassi omega-3 più elevati della media avrebbero circa un 30% in meno di probabilità di sviluppare fibrillazione atriale, rispetto a soggetti con livelli normali.
Lo studio ha interessato 3326 adulti (uomini e donne) con età maggiore o uguale a 65 anni, non affetti da FA o scompenso cardiaco al baseline, ai quali sono stati dosati i livelli plasmatici di alcuni acidi grassi omega-3 (PUFA): l’acido eicosapentaenoico (EPA), l’acido docosapentaenoico (DPA), l’acido docosaesaenoico (DHA) al baseline utilizzando metodi standard.
Tra questi soggetti, seguiti per 14 anni (dal 1992 al 2006) e sottoposti periodicamente ad elettrocardiogramma, ECG e dosaggio degli acidi grassi, sono stati riscontrati 789 casi di FA.
Valutando l’associazione tra i livelli ematici degli acidi grassi e l’insorgenza di FA, è stato riscontrato che i livelli di EPA e DPA non erano associati in maniera significativa con l’incidenza di FA, mentre la valutazione di tutti i PUFA e del DHA, ha mostrato un’associazione lineare inversa con l’incidenza di FA.
Negli anziani elevati livelli circolanti di PUFA e DHA sono quindi associati a più bassi livelli di incidenza di FA: tale evidenza suggerisce la necessità di valutare se aumentare l’intake di questi acidi grassi in modo da verificare effettivamente se possa costituire un metodo efficace di prevenzione primaria della FA.
Dott.ssa Elisabetta Marotti
http://circ.ahajournals.org/content/early/2012/01/26/CIRCULATIONAHA.111.062653.abstract
http://www.reuters.com/article/2012/02/01/us-omega3-heart-idUSTRE8101XG20120201